Natale in Terra Santa. Card. Pizzaballa: “chiamati a ripartire dall’evento di Betlemme”

Redazione1
di Redazione1 Dicembre 24, 2023 23:48

Natale in Terra Santa. Card. Pizzaballa: “chiamati a ripartire dall’evento di Betlemme”

Mentre si continuano a vivere giornate drammatiche e violente, sentiamo il bisogno di rivolgerci ancora a Dio per implorare la pace e la conversione dei cuori in un Natale difficile che attende i cristiani di Terra Santa. Ma il messaggio che porta la nascita di Gesù è l’antidoto all’odio: “non possiamo stare senza l’Altro. Altro che è venuto a noi, ed è ciò di cui abbiamo tutti necessità adesso”. Lo ha detto il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme che, in un’intervista al Sir, vede nelle parole “fiducia e pace” la strategia politica e sociale di uscita da questa guerra scoppiata il 7 ottobre, dopo l’attacco terroristico di Hamas ad Israele. “Abbiamo bisogno di costruire percorsi di fiducia e di pace, prosegue Pizzaballa, specialmente adesso che siamo immersi in un mare di odio e di tensione che sta provocando disastri impressionanti” a Gaza, in Israele e nei Territori Palestinesi.

Nessuno, fino a due mesi fa, immaginava dove saremmo sprofondati in questa terra. Dobbiamo fare i conti con una tragedia immane, tra le peggiori, se non la peggiore, degli ultimi decenni dal punto di vista della violenza, del rancore, dell’odio. Quanto sta avvenendo ci fa volgere lo sguardo più a Gaza che a Betlemme. Gaza assorbe tutte le nostre energie e non possiamo non parlare di Gaza, questo è evidente. Ma, al tempo stesso, non possiamo non allargare lo sguardo anche ai Territori Palestinesi e a Betlemme.

Oggi Betlemme è una città morta, sigillata. I check point sono quasi tutti chiusi. È morta perché i pellegrini non ci sono e non c’è lavoro. Sarà un Natale molto più semplice, più povero, modesto, meno eclatante. Come già annunciato non sono previsti eventi pubblici. Natale sarà l’occasione per restare di più in famiglia, una festa da vivere nella sua dimensione più spirituale in stretta solidarietà con chi soffre. Davanti a tanto odio non dobbiamo dimenticare la nascita di Gesù e per questo siamo chiamati a ripartire dall’evento di Betlemme.

Nessuno, fino a due mesi fa, immaginava dove saremmo sprofondati in questa terra. Dobbiamo fare i conti con una tragedia immane, tra le peggiori, se non la peggiore, degli ultimi decenni dal punto di vista della violenza, del rancore, dell’odio. Quanto sta avvenendo ci fa volgere lo sguardo più a Gaza che a Betlemme. Gaza assorbe tutte le nostre energie e non possiamo non parlare di Gaza, questo è evidente. Ma, al tempo stesso, non possiamo non allargare lo sguardo anche ai Territori Palestinesi e a Betlemme.

Oggi Betlemme è una città morta, sigillata. I check point sono quasi tutti chiusi. È morta perché i pellegrini non ci sono e non c’è lavoro. Sarà un Natale molto più semplice, più povero, modesto, meno eclatante. Come già annunciato non sono previsti eventi pubblici. Natale sarà l’occasione per restare di più in famiglia, una festa da vivere nella sua dimensione più spirituale in stretta solidarietà con chi soffre. Davanti a tanto odio non dobbiamo dimenticare la nascita di Gesù e per questo siamo chiamati a ripartire dall’evento di Betlemme.

Guai a noi se non lo facessimo. La fede in Gesù ci deve rendere capaci di guardare oltre quello che stiamo vivendo, altrimenti saremmo schiacciati dai fatti. Natale è anche un’invocazione di pace. In questo mare di odio c’è bisogno di ricostruire dalle macerie morali, spirituali e materiali: come? C’è da riedificare innanzitutto la fiducia. E non sarà facile. Ci vorrà tanto tempo. Abbiamo bisogno di parole di fiducia e di volti nuovi, di nuove leadership politiche e religiose, capaci di aprire orizzonti e non di chiuderli. C’è bisogno di gesti concreti che nel territorio comincino a riportare un po’ di fiducia, che facciano vedere che un cambiamento è possibile, che si può cambiare pagina nelle relazioni umane, nel dialogo interreligioso e soprattutto nella leadership politica. Insomma, servono operatori di pace. Che ci sono, ma come tutti gli operatori di pace non fanno chiasso. Il chiasso, adesso, lo producono le armi e la violenza. Naturalmente avremo bisogno di loro quando ci sarà da ricostruire. Serviranno persone dotate di visione e di coraggio. I costruttori di pace, dotati di ragionevolezza e di donazione, sono persone coraggiose. Le parole? Sono giustizia, verità, riconciliazione, fiducia, diritto. Queste sono le basi da cui ripartire.

Credo che la soluzione Due Popoli Due Stati sia una soluzione tecnicamente non praticabile ma è anche l’unica possibile. Ciò che questa guerra sta mostrando è che israeliani e palestinesi, in questo momento, non possono vivere insieme. Forse in futuro. Però resteranno qui e dovranno trovare dei modi creativi – non so quali- chiamiamoli anche Due Popoli Due Stati, che diano a ciascuno i suoi spazi, la sua casa e la solidarietà. Ora siamo oppressi da questa situazione e il cambiamento richiederà tempi lunghi. Non bisogna mai disperare.

Ogni Natale che passa vede sempre meno cristiani restare in Terra Santa. L’esodo riguarda un po’ tutti, non solo i cristiani. Per fronteggiarlo servono gesti concreti e parole di fiducia che facciano capire ai nostri fedeli che restare è possibile. Gesti concreti sono anche gli appelli di Papa Francesco per la pace, per il cessate il fuoco e le telefonate quotidiane alla parrocchia di Gaza. Gesti molto importanti perché in questo momento non possiamo fare molto per cambiare questa situazione. Viviamo un tempo in cui ognuno è chiuso in se stesso, nel suo dolore e nella sua prospettiva. Invece il Natale ci dice che non possiamo stare senza l’Altro. Altro che è venuto a noi. Credo che sia ciò di cui abbiamo tutti bisogno adesso.

 

 

 

Redazione da Ag. di inf.

 

 

 

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