Enzo Bianchi: nella Chiesa di oggi è tempo di “discernimento comunitario”. No a “narcisismo moralistico” e relazioni esclusiviste

Redazione1
di Redazione1 Settembre 28, 2018 18:25

Enzo Bianchi: nella Chiesa di oggi è tempo di “discernimento comunitario”. No a “narcisismo moralistico” e relazioni esclusiviste

Enzo Bianchi, il fondatore della comunità monastica di Bose, è convinto che nel tempo in cui viviamo “L’esigenza del discernimento si fa sempre più urgente. E se la Chiesa nel suo passato ha soprattutto meditato ed esperito il discernimento personale, oggi è venuto il tempo di ricercare ed esperire il discernimento comunitario, ecclesiale e, di conseguenza, sinodale”. Con le sue dichiarazioni – rilasciate a inviato Sir – Enzo Bianchi tiene a precisare che “quest’operazione difficile e faticosa deve soprattutto estendersi anche alla vita ecclesiale, alle relazioni tra le Chiese e al momento in cui viviamo”. Sulla base di questa convinzione, egli ritiene che ai nostri giorni il discernimento comunitario si impone come una novità urgente da praticare proficuamente.

E se la Chiesa nel suo passato ha soprattutto meditato ed esperito il discernimento personale, oggi è venuto il tempo soprattutto di ricercare ed esperire il discernimento comunitario, ecclesiale e, di conseguenza, sinodale”. Noi per duemila anni abbiamo soprattutto cercato, parlato e meditato sul discernimento individuale, da Origene ai padri del deserto fino ad Ignazio da Loyola. Ma abbiamo tralasciato il discernimento comunitario ecclesiale. Oggi si impone e Papa Francesco certamente insiste sul discernimento, ma parla del discernimento ecclesiale, di tutta la Chiesa. Perché se la Chiesa deve fare un cammino sinodale, il discernimento è la condizione “sine qua non” per poter fare un cammino insieme; e che con urgenza si estenda  alla vita ecclesiale, alla relazioni tra Chiese…
Una tale necessità lo vediamo nella Chiesa cattolica perché, nella misura in cui si vuole che il Popolo di Dio diventi davvero una comunità di soggetti ecclesiali che abbiano una piena soggettività di fede e di evangelizzazione, si impone questo discernimento. Ma lo si vede anche nei rapporti tra le Chiese. E anche, in questi giorni, la difficoltà che sta sorgendo tra Patriarcato di Costantinopoli e Chiesa russa riguardo le Chiesa in Ucraina richiede un’operazione di discernimento, ciò che non solo è secondo la volontà di Dio ma ciò che è secondo il bene comune.

Ciò che è il bene della mia Chiesa ma anche quello dell’altra Chiesa. Si tratta di un cammino, per certi versi nuovo, ma che va assolutamente percorso. E con urgenza. Ne va di mezzo la presenza del cristianesimo e della Chiesa nel futuro dell’umanità e del mondo.

È da questa urgenza che, per esempio, nasce la scelta di Papa Francesco di indicare “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” come tema della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.
Dovremmo non pensare che tutto converge sui giovani e sulla vocazione. Perché allora si tradirebbe l’intenzione di Papa Francesco.

Tutta la Chiesa va in discernimento. E tra i problemi che si pongono ci sono certamente la presenza dei giovani nella Chiesa – e che oggi sono la parte mancante – e i loro cammini delle differenti vocazioni che devono fare. Però il primo punto è il discernimento. Bisogna stare attenti, perché si mette molta enfasi sulla vocazione e sui giovani e si considera il discernimento come se fosse solo strumentale verso la scelta vocazionale. Il discernimento è un’operazione molto più ampia: sia che sia ecclesiale che personale, non sempre è in vista della vocazione ma è in vista del bene comune, in vista di ciò che Dio ci chiede, in vista dei segni dei tempi da decifrare, delle urgenze dei luoghi da assumere. È un discernimento molto più complesso quello cui ci chiede il Papa di riflettere e celebrare nel Sinodo.

Rispetto al discernimento, una figura chiave è quella del padre spirituale che sembra attraversare oggi un periodo di crisi. Come superare questa situazione? Il problema è che i credenti sottovalutano l’importanza del discernimento o che questo è un esercizio a cui non sono più allenati?
Credo che i fedeli non siano più abituati a fare discernimento. E poi, purtroppo, abbiamo avuto ahimè i direttori di coscienza che hanno lasciato dietro di sé un cattivo ricordo. Allora, oggi, riprendere la figura del padre spirituale – o meglio ancora, dell’accompagnatore spirituale – è diventata un’operazione difficile. Si ha paura di qualcuno che venga a spiare la nostra vita, che venga a costringere la nostra libertà. E, certamente, c’è una tentazione in molti padri spirituali di dire a chi si rivolge loro “a te a cui lo Spirito Santo dice nulla, io ti dico…” come se lo Spirito Santo parlasse solo a loro. Queste sono patologie di questo ministero, bisogna riflettere. Ma bisogna riprenderlo perché è un grande ministero di visionarietà: si tratta di suscitare domande, stimoli, ispirazioni. Non costringere, non imporre, non chiedere niente contro la propria libertà e contro la propria coscienza.

Singoli e comunità sembrano sempre meno interessanti ad una lettura della storia personale e collettiva. Perché ciò è avvenuto e come aiutarli a ritrovare il gusto di leggere i segni dei tempi?
Si tratta di aiutarli a capire l’importanza della comunione e della solidarietà con gli uomini e la storia.

Il problema è che oggi c’è un individualismo anche molto narcisista e tutto questo impedisce qualcosa che si deve fare insieme che è, certamente, anche il discernimento, lo sperare insieme, il preparare un futuro per il mondo e per la Chiesa insieme.

Come invertire la rotta?
È un processo di lunga educazione, ma bisogna avere il coraggio di dire no al narcisismo imperante e fare uscire le persone da se stesse in vista di un cammino di comunione e non egocentrico e semplicemente per il benessere di se stessi.

Sono molto preoccupato anche della spiritualità cattolica dominante, che mi sembra un teismo vago, cattolico, antropologico e moraleggiante teso al benessere di sé. Questo non è più cristianesimo! Nel cristianesimo al centro c’è Cristo, non il benessere di sé. Perché altrimenti gli uomini della Scrittura come Geremia sarebbero fuori da ogni possibilità di comunione con Dio e di essere veri uomini di Dio. Ma, oggi, la spiritualità di molti padri spirituali va in quel senso e non è più cristiana. Non ha più Cristo al centro, ma soprattutto il proprio benessere. Domina un narcisismo moralistico.

 

 

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