Adolescenti morti per droga: il doloroso episodio di Terni sia di incitamento a debellare il mortale flagello

Redazione1
di Redazione1 Luglio 11, 2020 19:00

Adolescenti morti per droga: il doloroso episodio di Terni sia di incitamento a debellare il mortale flagello

Le droghe, sempre più diffuse da decenni nella nostra società, sono ormai diventate un flagello planetario che imperversa senza sosta. Un fenomeno nefasto che diffonde con sempre maggiore facilità sostanze psicotrope psicologicamente devastanti e nocive per il cervello, seminando morte soprattutto nel mondo giovanile. Come una sorta di peste moderna con grande potere di “contagio”, La droga attraverso l’euforia che produce porta la persona a diventarne dipendente, ad estranearsi dalla realtà, fino a diventare preda della malattia mentale e anche morire miseramente nell’indifferenza generale. Sono circa 40 milioni le persone che ogni anno assumono droghe; e circa 800 mila le tonnellate di cocaina che si producono, così come enorme è la produzione di eroina. In Italia a causa della droga muore in media una persona al giorno. E  solo quando si verifica un episodio doloroso come quello avvenuto a Terni, con la morte assurda di due giovanissimi, estranei a questo mondo, di cui ci racconta Aldo Buonaiuto, accade che si sollevi un moto di commozione, misto a ribellione, che scuote la sensibilità di tutti. Che sia di incitamento a debellare il mortale flagello.

Davanti a giovani vite spezzate emerge ancora più nitidamente il dilagare di un sistema di morte, radicato anche in Italia, sempre più finalizzato a liberalizzare le droghe definendole erroneamente “leggere”, stigmatizza Bonaiuto. In realtà gli scienziati, i medici, le persone che studiano seriamente il fenomeno sanno bene che non esistono sostanze “leggere” e “pesanti”. Di fatto tutte le droghe sono “pesanti”, anzi, sono macigni, perché provocano dipendenza, perdita del senso della realtà, annullamento della coscienza individuale. In una società liquida la dipendenza è diventata invisibile persino agli stessi familiari. Fino agli anni ’80 il “tossico” era un soggetto riconoscibile e quindi ci era più immediato soccorrerlo.

“Non c’è dolore più grande di quello di una madre che ha un figlio drogato. Così come non c’è gioia più grande di quella per un figlio liberato dalla droga”. Queste le parole, ricorda Aldo Bonaiuto, che don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII, ripeteva continuamente perché nascevano da esperienze e da incontri reali e concreti. Ho pensato ai genitori dei due ragazzi di Terni uccisi dalle sostanze per quindici euro, è la commossa riflessione. Quanto dolore, strazio incontenibile possono vivere quei genitori nel perdere i figli nel momento più promettente dell’esistenza umana. Non c’è dramma più assoluto di un’alba che non potrà mai divenire giorno.

Il pericolo inaccettabile è che si riduca la vicenda ad un fatto di sola cronaca.

Davanti a giovani vite spezzate emerge ancora più nitidamente il dilagare di un sistema di morte, radicato anche in Italia, è l’amara sottolineatura, sempre più finalizzato a liberalizzare le droghe definendole erroneamente “leggere”. In realtà gli scienziati, i medici, le persone che studiano seriamente il fenomeno sanno bene che non esistono sostanze “leggere” e “pesanti”. Di fatto tutte le droghe sono “pesanti”, anzi, sono macigni, perché provocano dipendenza, perdita del senso della realtà, annullamento della coscienza individuale.

Bonaiuto poi si sofferma a sfatare l’infelice traduzione delle espressioni inglesi: “hard drugs e soft drugs” che ha soltanto agevolato i trafficanti e le varie mafie alimentando il loro business e diffondendo la menzogna di una modalità di assunzione ritenuta meno nociva. Sappiano i nuovi schiavi delle sostanze killer, è il suo incoraggiamento, che esiste sempre una via d’uscita dal loro incubo: l’ingresso in una struttura di recupero. E lamenta anche che, paradossalmente era più “visibile” lo scenario da “ragazzi dello zoo di Berlino”, quando la tossicodipendenza era agevolmente localizzabile e passibile di delimitazione sociale. Oggi la schiavitù sintetica è indefinibile e sfuggente di metadone con miscugli nocivi  come quelli che hanno stroncato due esistenze agli albori.

In una società liquida la dipendenza è diventata invisibile persino agli stessi familiari, avverte. Fino agli anni ’80 il “tossico” era un soggetto riconoscibile e quindi ci era più immediato soccorrerlo. Adesso, è la provvida avvertenza, le sostanze si possono ordinare anche con un click, sfuggono a qualsiasi controllo genitoriale e soprattutto non si accompagnano più necessariamente a condotte e frequentazioni devianti. La cultura di morte che sta dietro il primo business mondiale illegale si struttura in una filiera che dal grande trafficante arriva allo spacciatore di quartiere passando attraverso le complicità e le connivenze di astuti influencer di morte che contrabbandano per libertà la peggior forma di asservimento.

A conclusione, il monito di un interrogativo pungente: “Ma se questi due adolescenti fossero stati i figli di uno scintillante sponsor dello sballo, cosa direbbero adesso? Tutti coloro che continuano a fomentare, anche all’interno delle Istituzioni, la deriva antiproibizionista, ricordino che, evangelicamente, il sangue degli innocenti ricade sempre su chi lo ha versato”.

 

 

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di Redazione1 Luglio 11, 2020 19:00

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