Giulia e Filippo. Tragedia segno di una società malata e di un mondo che rinnega Dio

Redazione1
di Redazione1 Novembre 21, 2023 23:32

Giulia e Filippo. Tragedia segno di una società malata e di un mondo che rinnega Dio

Un interessante commento, denso di valide considerazioni psicologiche, che induce a fare utili riflessioni su valutazioni interessanti, e di significativo valore cristiano.

Per effetto di una tragedia così sconvolgente, siamo tutti immensamente sgomenti, addolorati e  incapaci di comprendere la portata di tanto male. Ora il mondo, la società intera, si interroga: chi era realmente Filippo? Quali i suoi problemi? Quali i veri sentimenti per Giulia? E giù interviste, indagini, esperti, psichiatri, magistrati, filmati. Così ognuno in cuor suo diventa giudice, talvolta implacabile e forcaiolo, del proprio prossimo. Nessuno, però, dico nessuno, che osi interrogare se stesso: in questa vicenda io che parte ho? Quale il mio ruolo? Quale il mio contributo per migliorare la società? Quali le mie omissioni? (I.C.)

Certo, bravi tutti ad ipotizzare i malesseri di Filippo, a condannare la presunta scarsa consapevolezza dei genitori, l’insufficiente incisività delle leggi contro il “femminicidio”, quasi che fosse sufficiente aumentare le pene per ottenere un deterrente contro i crimini. Il femminicidio, termine odioso usato per indicare sì una violenza gravissima, estrema, nei confronti delle donne, ma che nutre ed alimenta solo la loro paura nei confronti dell’uomo creando un senso di sfiducia e di angoscia verso la famiglia.  Di fatto, un nome quel delitto già ce l’ha: in giurisprudenza si chiama omicidio, uccisione di un essere umano, ed è un delitto di cui può restare vittima sia l’uomo che la donna, anche nelle famiglie, basta guardare le statistiche.

Altre persone, invece, sono bravissime nel reclamare a gran voce l’insegnamento di una nuova disciplina a scuola, l’educazione sentimentale. Magari sono le stesse persone che hanno plaudito all’introduzione delle teorie gender sin dalla scuola dell’infanzia perché anche nella più tenera età – quella dell’innocenza pura – i bambini hanno “il diritto di vivere la sessualità”, di conoscere il corpo dell’altro, di reclamare una identità fluida. La chiamano lotta per l’abbattimento degli stereotipi… in realtà è una lotta contro la famiglia!

Ma ci sono anche coloro che propongono (con infinito ritardo) di ripartire da corsi di educazione per genitori. Educare ad educare, insomma. Sicuramente la proposta, fra tante, più degna di attenzione. I genitori di oggi appaiono sempre più spesso impreparati a governare il timone della barca della loro famiglia e non hanno rimedi contro quel mal di esistere che naviga sotterraneo ed insidioso nell’animo dei loro figli. Un male silenzioso ma che giace nel profondo del loro essere, pronto ad esplodere in maniera inattesa ed irreparabile. Proprio come è accaduto a Filippo.

Ma come mai, chiediamoci, nell’era della dea tecnologia, di internet, di tik-tok a tutto spiano, dei  videogiochi pericolosi e delle sfide spericolate che spesso causano la morte, della libertà sessuale  senza limiti, dei diritti dei bambini ma non dei doveri, dei voti massimi garantiti a scuola, della Dad,  del volere pretendere tutto dai genitori senza neanche restituire a volte un po’ di rispetto…come mai,  tanta insoddisfazione nei giovani? Da dove proviene la loro insicurezza? Di cosa hanno realmente bisogno? Qual è il tassello mancante? E soprattutto…tanto male, da dove proviene?

“Dove Dio non è più temuto, gli uomini diventano tremendi, terribili l’uno per l’altro…”. Sono le  parole del Cardinale Joseph Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI.

Ed è proprio così. Dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. La nostra società da decenni si è illusa di vivere come se Dio non esistesse. Il diavolo non esiste, dicono. Lo ripetono anche alcuni bambini al catechismo forse perché i genitori hanno pensato di placare così le loro ansie.  Ma è questa la più grande astuzia, l’inganno del demonio: far credere che egli non esista. Ognuno allora si sentirà libero di agire come meglio crede, di vivere alla continua ricerca dello sballo, di ogni piacere, del successo, della ricchezza, dell’affermazione personale, ignorando completamente le Dieci Parole di Vita di cui Dio ci ha fatto dono: i Dieci Comandamenti. Essi sono Parole di Vita.  Eterna. Perché ci salvano, ci ammoniscono, ci avvertono del pericolo, ci invitano ad osservare regole senza le quali non si può vivere e che sono naturalmente inscritte nel cuore degli uomini.

Ed è così che avvengono sciagure immani, anche all’interno delle famiglie. Una volta rotti gli argini del rispetto, come un fiume in piena, non si potranno più contenere le acque dell’ira, della bestemmia, della violenza. Anche Papa Giovanni Paolo II, ora santo, ammoniva i genitori a non essere amici dei  figli bensì educatori. L’errore, sicuramente, è stato quello di credere che dando tutto, assecondando ogni desiderio, si poteva donare la felicità ai figli, risparmiando loro ogni rimprovero. Nulla di più sbagliato. La felicità si dona invece insegnando ad essi la gioia della conquista, la soddisfazione di aver guadagnato realmente, col sacrificio dell’impegno e dello studio, anche un bel voto. Con la privazione si educa a non pretendere, a saper attendere, a saper selezionare i bisogni reali.

San Charbel invitava a custodire le famiglie tenendole lontane dagli schemi del maligno attraverso la  preghiera e il dialogo, la comprensione, l’onestà, l’ascolto.

Suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima, aveva scritto in una lettera al Cardinale Carlo Caffarra che l’ultima battaglia, «lo scontro finale» tra Dio e satana, sarà sulla famiglia perché “si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo” (Card. Caffarra in un’intervista concessa a La Voce di Padre Pio, marzo 2008).

Se non ci esamineremo, allora, coscientemente nei nostri ruoli di genitori, in primis, e di educatori, in quanto prime agenzie educative dei giovani, non riusciremo a comprendere quali danni si possono causare nella psiche dei figli, quante lacerazioni e ferite invisibili negli affetti.  Torniamo ad educare veramente, torniamo ad esigere ciò che è giusto, torniamo a pregare con loro. I bambini non lo dicono ma sono assetati di Dio, vogliono sentire parlare di Gesù perché anche se non lo vedono credono in Lui, non sono come Tommaso. Essi hanno bisogno di sentire e di sapere che c’è Qualcuno, un Dio potente, l’Unico, che sconfigge e supera ogni loro paura. Un Dio che è pronto a salvarli a prezzo della Croce. E che noi siamo stati salvati, non è una favola, è la verità.  Non possiamo dimenticarlo, soprattutto se ci diciamo cattolici.

 

 

 

Redazione da Ag .di inf.

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