Ddl Zan. Polispropersona: “un pericoloso disegno di legge per imporre la teoria gender”

Redazione1
di Redazione1 Luglio 4, 2021 00:17

Ddl Zan. Polispropersona: “un pericoloso disegno di legge per imporre la teoria gender”

Da parecchie settimane proseguono le animate discussioni che alimentano la campagna di comunicazione sul ddl Zan. Il disegno di legge contro l’omotransfobia che intende combattere, anche col ricorso alla sanzione penale, i crimini d’odio e discriminazioni contro omosessuali, bisessuali, transessuali, donne e disabili, che sta facendo nascere diverse e accese discussioni nel mondo politico e nel dibattito pubblico. Ma soprattutto serie obiezioni sono state espresse prima da parte della Cei e poi dalla Santa Sede, perché il ddl Zan con la teoria gender compie “un’imposizione dell’ideologia di genere nelle scuole e rischia di interferire, fra l’altro, con il diritto dei cattolici e delle loro associazioni e organizzazioni alla piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

(Sir) In riferimento a questi motivi di richiamo al dialogo e alla revisione del ddl Zan, a Roma, presso il Senato, c’è stato un incontro a Palazzo Madama, e una lettera aperta ai senatori per segnalare le criticità del testo unico Zan contro l’omotransfobia, e chiedere con urgenza un incontro con la Conferenza dei capigruppo prima che il Senato voti per la calendarizzazione della discussione in Aula, a partire dal 13 luglio, del provvedimento. A promuovere la duplice iniziativa, presso la sala Nassiriya di Palazzo Madama, il network Polispropersona, rete di circa 70 associazioni non profit, che hanno inoltre firmato la lettera ai senatori. I partecipanti alla “conferenza d’ascolto” intitolata “Contro le discriminazioni? Sì! Ma non così”, intellettuali e giuristi di differente provenienza e sensibilità culturali, sono stati tutti concordi nell’evidenziare i profili di illiberalità del provvedimento e le insidie “nascoste” tra le righe dei diversi articoli.

Per Alberto Gambino, giurista e presidente di Scienza&Vita, il ddl Zan nella sua attuale formulazione “incide sulla cultura ‘ufficializzando’ per via legislativa la teoria gender e limitando la libertà educativa dei genitori”. Definendo “una bomba atomica” il “combinato disposto ‘istigazione’ e ‘discriminazione’”, Gambino ha spiegato che si tratta di “una fattispecie molto generica, ma che può rappresentare un potentissimo grimaldello nelle mani di chi deve applicare le norme”.

E il “termine perentorio” (il verbo “provvedono”, ndr) con il quale le scuole sono chiamate dall’art. 7 a celebrare la giornata nazionale contro l’omofobia, “rischia di superare un paradigma costituzionale” perché “l’educazione spetta primariamente ai genitori che la delegano agli insegnanti”.

Senza giri di parole, la giornalista e scrittrice femminista Marina Terragni ha osservato che obiettivo del Ddl Zan non è “la protezione delle persone omosessuali e transessuali”; bensì “l’imposizione di una cultura centrata su un individuo neutro, sciolto da qualsiasi legame con il proprio corpo, capace di arbitrio assoluto fino a decidere il proprio sesso”. “Utero in affitto, commercio di gameti, gravidanze e baby trans, trapianti di utero. Tutto questo è ciò che gira intorno a questo tipo di provvedimenti, come dimostrano leggi analoghe in altre parti del mondo”, ha avvertito auspicando piuttosto il recupero dello schema del ddl Scalfarotto-Annibali. “Ben venga una legge contro l’omotransfobia – ha concluso -, ma no all’imposizione di modelli culturali per via legislativa”.

“Ha senso cercare di combattere la violenza e la discriminazione identificando delle categorie protette?”. A porre l’interrogativo è stato il sociologo Luca Ricolfi, secondo il quale questa strada “produce nuove discriminazioni. Il rischio è che, a forza di moltiplicare le minoranze protette, si creino nuove discriminazioni rispetto a chi non è protetto dall’ombrello di alcuna minoranza”. In questo modo, la tesi del sociologo, “non tuteliamo una persona ma una categoria”. Con la conseguenza di dare vita ad “una competizione vittimaria”.

Per Filippo Vari, costituzionalista e vice presidente del Centro studi Livatino, “scelte che rientrino nell’esercizio dei diritti di libertà non possono essere oggetto di un minuto esame dell’autorità giudiziaria, con il rischio che si crei un tribunale delle coscienze per valutare il foro interno delle persone”.

Il fine di estirpare la violenza non può “essere perseguito con i mezzi previsti dal disegno di legge Zan” che “possono confliggere per molti aspetti con la costituzione repubblicana”. Nello specifico, Vari ha evidenziato come gli articoli 1, 2, 4 e 7 del provvedimento siano “in contrasto con la Costituzione e in particolare con gli articoli 21, 25, 9, 33, 30 e 7 della carta fondante la nostra Repubblica”.

A conclusione dell’incontro Domenico Menorello ha presentato la lettera aperta delle 70 associazioni ai senatori. Un documento articolato in sette punti per evidenziare altrettante criticità e per chiedere, in estrema sintesi, di declinare “realmente” nel corso dei lavori sul ddl Zan i principi di laicità dello Stato e di rispetto dei vincoli costituzionali,

di non approvare un testo, come l’attuale, che “impone scelte ideologiche con strumenti penali inconciliabili” con questi valori, e di “scongiurare gli effetti illiberali” del provvedimento. Tra i firmatari della lettera Alleanza Cattolica, Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, Amci, Centro Studi Livatino, Comunità Papa Giovanni XXIII, Mcl e Movimento per la vita.

 

 

Redazione da Ag. di inf.

 

 

 

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