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Messina – La “Factory” Schipani: galleria d’arte di riciclo creativo da cui nasce una mostra-museo. La luminosa immagine di S. Eustochia
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L’impatto è di sicuro effetto, sorprendente e invitante, davanti alla grandiosa e variegata esposizione allestita nella “Factory” di Linda Schipani, in Via Croce Rossa 8 a Messina. E non può che essere immediato il desiderio di scoprire le emozioni che suscitano composizioni originali, nate da componenti industriali trasformate in opere d’arte da un ingegnoso lavoro di riciclo creativo.
Si è infatti davanti ad una galleria sui generis, quasi museale e di grande attrattiva, estesa e variegata, che merita di essere visitata. Anche per il fatto straordinario di essere al cospetto di una
collezione d’arte creata con gli oggetti “defunti” di un mondo passato ormai inesorabilmente perduto. Scarti derivanti dall’azienda di famiglia che si occupava della costruzione di strumenti elettro meccanici per la manutenzione dell’illuminazione pubblica nella città di Messina. Uno sfaccettato scenario disegnato dalla varietà formale dei materiali rigenerati dall’inventiva della Schipani, che da’ la sensazione piacevole e stimolante come davanti ad una sorta di caleidoscopio artistico-culturale.
Allegoria immaginifica, ma plausibile, che fa prendere consapevolezza di visitare una realtà composita, tale da poter essere definita un’eccellente esposizione multimediale, ma anche multidimensionale. Un insieme di opere, cioè, di grande efficacia estetico-intellettuale, nate dall’ispirazione artistica, fantasiosa, affettiva e idealistica di una giovane ingegnere per l’ambiente e il territorio, appassionata di arte, design e riciclo, che in tal modo ha aperto le porte a numerose strade di ricerca su diverse radici identitarie: memorie prestigiose, approfondimenti culturali, richiami gentilizi, riappropriazione di antichi valori, rivisitazione ravvivante di secolare e prestigioso passato.

E così, procedendo via via lungo il percorso espositivo delle diverse composizioni nella “Factory, è dato di assistere alla trasformazione rigenerativa di tutta una miriade di vecchi oggetti ormai in disuso: macchinari, trasformatori, lampadari, lampioni, utensili vari e tanto altro, che ad opera della Schipani sono rinati a nuova vita all’insegna dell’idea centrale “Nessun oggetto è usa e getta”, a lei tanto cara. Insomma, una brillante e ingegnosa sconfessione dell’assunto massimalista comune secondo cui ciò che è scarto è destinato a giacere “nella tomba tra le vane forme di ciò che è stato e non sarà più mai”, (di gozzaniana memoria). Un capovolgimento di pensiero, quindi, che ha fatto diventare “Factory” una fucina di immaginifica operazione d’arte, da cui è nata una mostra-museo del passato della città.
Una ricostruzione rivitalizzante, che richiama storia, tradizione, identità, ecletticità, inventiva, abilità relazionale e di mediazione, tutte
doti che caratterizzano la messinesità con la sua secolare ed elevata cultura, ricca di tendenze artistiche, spirituali e religiose. E proprio sotto quest’ultimo aspetto, è da notare che percorrendo la Factory, si ha la piacevole sorpresa di scoprire la presenza di una bella trasposizione artistica dell’immagine della grande Santa messinese, rappresentata in forma di una lampada lucente: quella di Eustochia Smeralda Calafato clarissa fondatrice del monastero di Montevergine (lavoro compiuto nel 2014 da Emanuela Ravidà, in arte RE).
Un accostamento che assai bene si addice alla figura luminosa della grande mistica francescana del Quattrocento. Interessante anche per la significativa convergenza che rende assonante la rinascita a nuova vita di oggetti ormai in disuso operata dalla Schipani, con l’opera riformatrice di Eustochia che fa risorgere, reintroducendola nel suo monastero per il bene della vita claustrale, l’autentica Prima Regola della Fondatrice Santa Chiara, che era stata abbandonata.
Ora, tornando al valore artistico dell’opera della Schipani, si può ben dire che, a buon diritto e per diverse eccellenze referenziali, la Factory si possa collocare nella cosiddetta dimensione estetica dell’esperienza umana. Quel luogo ideale e “desituato”, cioè, che Winnicott chiama “area intermedia”, lo spazio del “fra” che non separa gli opposti ma li unisce con un tramite, dove ha sede l’indicibile, il meraviglioso, il poetico, l’invenzione o reinvenzione, dove vengono messi in forma emozioni e sentimenti.
E questo fa capire quanto sia psicologicamente importante l’arte quale “massima manifestazione del talento inventivo e della capacità
esecutiva dell’uomo” oltre che essere apporto equilibratore per i comportamenti umani.
Ora, a conclusione di quanto si è esposto, c’è da chiedersi: c’è qualcosa di manchevole da rilevare? Si, Un rammarico! Rivolto a chi, avendo il compito-dovere di gestire la cosa pubblica per il bene di questa città, ha peccato finora di mancata valorizzazione dell’opera di cui si è detto, rappresentativa di un grande merito artistico-culturale che onora Messina, e che viene purtroppo lasciata colpevolmente in trascuratezza.
Anastasio Majolino



