S. Alfonso Maria de’ Liguori, “una vita vissuta nel segno di un appassionato intento missionario”

Redazione1
di Redazione1 Agosto 4, 2024 00:33

S. Alfonso Maria de’ Liguori, “una vita vissuta nel segno di un appassionato intento missionario”

E’ un richiamo forte e ad ampio raggio quello che ci proviene dalla ricorrenza della solennità liturgica, celebrata di recente, di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Grande Santo napoletano che ci introduce nel fervore edificante di una realtà di vita intensa e poliedrica, durata quasi 91 anni, vissuta  nel segno di un appassionato intento missionario, “il più grande nella Chiesa italiana del Settecento”, il cui carisma si fondava sulla totale ragione di essere l’annuncio della parola di Dio.

Alfonso Maria de’ Liguori nacque il 27 settembre 1696 a Marinella, nei pressi di Napoli, da nobile famiglia.  il padre Giuseppe era ufficiale di marina e la madre, Anna Cavalieri, apparteneva al casato dei marchesi d’Avenia. Egli fu il primo dei loro otto figli e crebbe all’insegna di una robusta educazione religiosa, improntata sempre a sentimenti di compassione nei riguardi dell’infelicità altrui, con tanta fede in Gesù e con grande devozione a Maria e alle sue “glorie”.  Si può dire che fin dagli anni della sua adolescenza “lo Spirito del Signore scese su di lui e lo mandò ad annunciare ai poveri il lieto messaggio… a predicare un anno di grazia nel Signore”

Fin da giovane, affidato ai migliori precettori che ci fossero in circolazione, Alfonso dà immediatamente prova delle sue qualità straordinarie: a 12 anni sostiene in maniera eccellente l’esame di ammissione all’università, facoltà di legge, davanti al filosofo Giambattista Vico, e a 16 anni esercita già da avvocato. Durante il lavoro da avvocato Alfonso fa quello che oggi chiamiamo “volontariato”, in particolare presso l’ospedale di Napoli dove visita i malati. Pian piano questa vita caritatevole lo attrae sempre di più, così decide di lasciare la legge e dedicarsi al Signore. Nel 1726 diventa sacerdote e dedica tutto il suo ministero ai più poveri, che nella Napoli settecentesca sono davvero tanti. Intensa è la sua attività di predicatore e di confessore, insieme alla coltivazione del sogno di partire in missione per l’Oriente.

Vivendo nel “secolo dei lumi”, Alfonso seppe ridare la giusta misura alla ragione scrivendo opere basilari di apologetica, come “Verità della fede”. L’attualità del santo di Napoli sta nel fatto che, pur contrastando nella sostanza il relativismo morale e riconoscendo la Chiesa cattolica come suprema maestra, diede spazio alle “voci interiori della coscienza” e mantenne una posizione di equilibrio e di pratica prudenza tra i due estremi del rigorismo e del lassismo. Tale posizione affiora in quasi tutte le sue numerosissime opere di meditazione e di ascetica, ma soprattutto è sempre presente nell’ancora oggi studiata Theologia moralis.

È questo in effetti il vero capolavoro di colui che, canonizzato nel 1839, venne decretato da papa Pio IX Dottore della Chiesa nel marzo 1871. L’intento era quello di imitare Cristo operando per la redenzione di tante anime con missioni, esercizi spirituali e varie forme di apostolato straordinario. Amava l’adorazione eucaristica: «Fra tutte le devozioni, diceva, questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi», ripeteva. E insegnava ad affidarsi alla Madonna come via privilegiata e sicura verso il Figlio. «Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina», ha spiegato Benedetto XVI in una catechesi sul santo.

Contro l’eresia giansenista, che allontanava il popolo dai sacramenti, esortava i fedeli ad accostarsi con frequenza alla Confessione. E ricordava ai sacerdoti di essere segni visibili della Misericordia di Dio, così da favorire la conversione del peccatore. Centrale, per l’eternità, è la costanza nel pregare: «Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico e replico e replicherò sempre, sino a che avrò vita, che tutta la nostra salvezza sta nel pregare».

Nel 1732 lasciò la sua Napoli e il 9 novembre fondò a Scala quella che oggi è la congregazione del Santissimo Redentore, con il fine di predicare ai poveri nelle campagne. Malgrado gli ostacoli incontrati nel Regno di Napoli, dove il laicismo iniziava a emergere, i redentoristi andarono via via affermandosi grazie al loro semplice stile di predicazione. Intanto Alfonso si dedicava alla stesura dei suoi scritti, tra i quali spiccano – oltre alla monumentale Teologia Morale – alcuni testi di immediata lettura. Si tratta di classici della spiritualità cristiana, come La pratica di amar Gesù Cristo («la più devota e utile delle mie opere» la definì nel 1768) e Le glorie di Maria, che riflettono la sua pietà cristocentrica e perciò genuinamente mariana. Per onorare l’Incarnazione s’inginocchiava ogni volta al suonare delle campane di mezzogiorno, ovunque si trovasse.

Predicava tra gli strati più umili di Napoli, in case e botteghe, esortando il popolo ad abbandonare i vizi e fortificarsi nelle virtù con l’aiuto della preghiera. I risultati furono straordinari. Ci fu un autentico risanamento morale e sociale, che culminò in quelle che passarono alla storia come «Cappelle serotine», perché l’arcivescovo spinse il santo a fare le sue riunioni nelle cappelle per coinvolgere ancora più fedeli. Una attività apostolica che Alfonso Maria continuò anche quando nel 1762 fu nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti, una cittadina in provincia di Benevento: la quarta tappa della sua splendida avventura missionaria.

Rivestito della pienezza del sacerdozio, volle essere il rappresentante di Cristo, un vero pastore nella sua Chiesa. Operò una riforma in tutti i settori della vita religiosa: pretese dai sacerdoti santità di vita e zelo apostolico, fece predicare le missioni in tutte le parrocchie della diocesi, elevò il livello morale e scientifico del seminario, estirpò abusi e scandali, aiutò i poveri e i bisognosi, rivelò una carità eroica durante la carestia che negli anni 1763-64 afflisse il regno di Napoli. Ebbe un amore sincero e profondo per tutti, amore che fu l’anima del suo servizio pastorale, il segreto della sua riuscita. Sant’Alfonso fu un modello della vera figura del vescovo: egli rinnovò nel secolo dei lumi gli esempi di altezza spirituale e culturale e di attività apostolica dei vescovi delle origini del cristianesimo.

 

 

 

 

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